Le attività di formazione e informazione dei lavoratori costituiscono un processo educativo mediante il quale sono affidati ai lavoratori e a tutti i soggetti operanti nel sistema della prevenzione e della protezione aziendale le conoscenze e le procedure necessarie per svolgere, nella massima sicurezza, i rispettivi compiti, riducendo e gestendo i possibili rischi.
In una recentissima pronuncia 2 dicembre 2016, n. 51540, la Cassazione, sezione IV, ha sottolineato e affermato che «il datore di lavoro è tenuto a rendere edotti i lavoratori dai rischi specifici cui sono esposti ed a fornire loro un’adeguata formazione in relazione alle mansioni a cui sono assegnati». Altrettanto recentemente la Cassazione (sentenza 26 maggio 2016, n. 22147) ha affermato che «In tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l’adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro». «Il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi, non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi ai lavori in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni». Queste pronunce hanno meglio delineato quello che oggi è il quadro di una normativa sempre più dettagliata e attenta al problema della sicurezza dei lavoratori che, essendo “attori” e non soggetti passivi nella gestione della protezione e della prevenzione degli infortuni, devono essere sempre più edotti e preparati ad affrontare le emergenze e i rischi legati allo svolgimento delle proprie mansioni.
Il caso in esame
La suprema Corte è stata chiamata a esprimersi relativamente alla condanna di un imputato riconosciuto, in primo e in secondo grado, responsabile dell’omicidio colposo di un lavoratore, in seguito alla violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro. L’imputato era stato riconosciuto responsabile per non aver fornito ai dipendenti l’attrezzatura necessaria per l’esecuzione corretta dei tagli forestali e per l’atterramento delle piante rimaste impigliate; per avere omesso di porre in essere un’adeguata attività di controllo e, soprattutto, per aver omesso di formare e informare adeguatamente i lavoratori sull’attività da svolgere e sui rischi connessi alla stessa. Dalle prove testimoniali era emersa l’imperizia del lavoratore che, nel procedere al taglio della pianta, non aveva proceduto secondo la tecnica corretta, aveva utilizzato una motosega in pessime condizioni, non aveva predisposto vie di fuga e non aveva praticato un taglio direzionale nell’albero, cosiddetta cerniera, che avrebbe consentito la caduta controllata della pianta. Se tutte le operazioni svolte nel corso del diradamento di un bosco, alle dipendenze dell’impresa datrice di lavoro, fossero state svolte in maniera corretta, si sarebbe potuto evitare che un abete alto circa 26 metri investisse il lavoratore che perse la vita per le gravi lesioni riportate. Tutta la difesa del datore di lavoro, ricorrente, è stata incentrata su:
- l’incertezza espressa dai giudici dell’appello relativamente alla dinamica dell’incidente;
- il fatto che non sarebbe stato obbligato a redigere un documento di valutazione dei rischi, avendo soltanto cinque dipendenti assunti regolarmente e, quindi, sarebbe rientrato in quella particolare categoria di datori di lavoro esentati dal D.Lgs. n. 626/1994, articolo 4, comma 11, e tenuti a effettuare solo un’autocertificazione della valutazione dei rischi;
- il fatto che avrebbe assolto ai propri obblighi di informazione dei dipendenti sui rischi specifici derivanti dal taglio degli alberi e, anche se si fosse voluto ritenere il contrario, non sarebbe stato possibile sostenere, fondatamente, la sussistenza di un nesso eziologico tra l’omissione colposa e il decesso del lavoratore.
In effetti, i giudici d’appello avevano rilevato la possibilità di una ricostruzione della dinamica dell’incidente letale diversa da quella prospettata dal tribunale, ma la circostanza è stata ritenuta del tutto indifferente in ordine all’accertamento della responsabilità dell’imputato.
Affermare che la persona offesa sia stata colpita dalla caduta diretta di un albero o dalla caduta dello stesso albero rimasto impigliato nelle chiome degli altri alberi, in precedenza tagliato dalla medesima persona offesa, non esclude assolutamente la responsabilità del ricorrente per i suoi inadempimenti in materia cautelare infortunistica. Inoltre, indipendentemente dall’obbligo legale di redigere il documento di valutazione dei rischi, quello che i giudici hanno sottolineato è il fatto che il rischio trattato non era stato assolutamente previsto, neanche da quella autocertificazione alla quale fa riferimento il ricorrente: il documento è risultato essere carente in molti suoi aspetti per cui, effettivamente, non esistevano tassative prescrizioni in materia di sicurezza che fossero state imposte dal datore di lavoro e alla cui osservanza i lavoratori fossero stati debitamente addestrati. Ecco perché, escludendo che l’evento si sarebbe verificato, come sostenuto dal ricorrente, per errore del lavoratore, non potendo questo errore essere ritenuto imprevedibile, quello che è stato ritenuto rilevante è, invece, il fatto inequivocabile che l’errore ha trovato la sua essenziale spiegazione nel difetto di organizzazione del cantiere e nella carenza di formazione e di informazione dei lavoratori.
L’evoluzione della normativa
Dunque, nell’esaminare il caso, la suprema Corte, che ha confermato la correttezza della sentenza impugnata, rigettando il ricorso ha preso lo spunto per tratteggiare i contorni e i contenuti dell’obbligo di informazione e di formazione gravante sul datore di lavoro in tema di prevenzione degli infortuni, ripercorrendo le varie fasi attraversate dalla normativa in materia. Dopo l’emanazione dei primi provvedimenti normativi finalizzati alla realizzazione di un corpus legislativo diretto alla tutela preventiva della salute dei lavoratori (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547;
D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164; D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303) che hanno portato allo sviluppo di una tutela preventiva dell’integrità psico–fisica dei lavoratori, la svolta normativa si è avuta con il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, con il quale, recependo importanti direttive comunitarie, il legislatore ha introdotto una tutela prevenzionistica “soggettiva”, programmata e organizzata. È stata introdotta una nuova forma di tutela in cui ogni figura dirigenziale e ogni lavoratore partecipa all’organizzazione e alla gestione del lavoro con precisi diritti e doveri che rendono necessaria un’adeguata conoscenza di tutti i meccanismi all’interno dell’ambiente lavorativo: il lavoratore non ha più un ruolo passivo, ma ha un ruolo partecipativo alla realizzazione della prevenzione sulla base di tutta una serie di doveri e di diritti di cui deve essere a conoscenza.
Il D.Lgs. n. 626/1994 aveva previsto, tra le misure generali di tutela, l’«informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentati, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro». Successivamente, il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ha ripreso, sottolineato e ampliato il tema in maniera più dettagliata e completa D.Lgs. n. 106/2009, ha previsto la formazione, l’informazione e l’addestramento come dei percorsi necessari che i lavoratori devono sostenere per riuscire a fare proprie le regole e le metodologie del sistema di prevenzione (articoli 36, 37 e 73, D.Lgs. n. 81/2008). I lavoratori non svolgono un ruolo passivo, ma sono essi stessi i fautori della propria sicurezza: una volta informati e formati adeguatamente dal datore di lavoro e dai loro rappresentanti, dovrebbero riuscire a gestire opportunamente i rischi connessi allo svolgimento delle proprie mansioni.
Informare, formare e addestrare gli addetti
Risulta evidente, dunque, come al centro di tutta la normativa di prevenzione e protezione dei lavoratori si pone l’obbligo di informare, formare e addestrare i dipendenti. L’articolo 37, D.Lgs. n. 81/2008, parla di «formazione sufficiente ed adeguata » che il datore di lavoro deve garantire i lavoratori e ai loro rappresentanti, da ripetersi nel tempo a seconda dell’evoluzione e dell’insorgere dei nuovi rischi presenti nell’ambiente di lavoro.
Il comma 11, articolo 37, è espressamente diretto alla formazione del RLS che si fa portatore del diritto alla sicurezza e alla salute dei lavoratori e che non può venir meno alla frequenza di specifici corsi di formazione e di aggiornamento all’interno dell’azienda in cui espleta le proprie funzioni. Stesso obbligo, sempre a carico del datore di lavoro, riguarda la formazione dei preposti e dei dirigenti (art. 37, comma 7) che devono ricevere, appunto, una formazione specifica e periodicamente aggiornata, sia all’interno dell’azienda, ma anche fuori (come introdotto dal D.Lgs. n.106/2009). Anche i lavoratori autonomi, come disposto dall’articolo 21, D.Lgs. n. 81/2008, hanno l’obbligo di partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37. Questo è un aspetto fondamentale nello svolgimento della propria attività perché, nel caso il lavoratore autonomo non si attenesse a questo obbligo, non partecipando ai corsi di formazione previsti, il committente potrebbe legittimamente non affidargli i lavori. Dalla lettura di queste disposizioni, che contengono i principali dettami in materia, è possibile dedurre quale sia stato l’intento del legislatore: disporre una serie di figure aziendali che sono deputate a svolgere un ruolo di formatori per i lavoratori, senza mai mettere in secondo piano la figura del datore di lavoro, che rimane il principale garante della sicurezza dei propri dipendenti, dovendo assicurarsi che ciascun lavoratore riceva un’adeguata formazione.
Il datore di lavoro è obbligato a utilizzare tutti gli strumenti in suo possesso per tutelare la sicurezza dei lavoratori attraverso un continuo scambio di informazioni con il medico competente e con i servizi di prevenzione e protezione, circa i rischi presenti in azienda e che riguardano il lavoro svolto dai dipendenti, e attraverso continue informazioni relative alle possibili esposizioni a pericoli gravi e immediati e che riguardano, di conseguenza, le operazioni di emergenza da eseguire. «La condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione ed informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche» (Cassazione penale, sezione IV, 23 ottobre 2008, n. 39888). «Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, deve operare un controllo continuo e pressante per ottenere che i lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarvisi, anche instaurando prassi di lavoro non corrette» (Cassazione penale, sezione IV, 23 ottobre 2008, n. 39888). Il 7 luglio 2016 è stato approvato il nuovo accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, «Accordo finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni». L’accordo 7 luglio 2016 è nato con l’obiettivo di riallineare la normativa relativa alla formazione degli rspp e degli aspp al D.Lgs. n. 81 /2008, ai successivi accordi Stato Regioni sulla formazione e al decreto del ministero del Lavoro e del ministero della Salute 6 marzo 2013 che delinea i criteri di qualificazione del formatore per la salute e la sicurezza sul lavoro. In particolare, l’accordo 7 luglio 2016 modifica il percorso formativo per i responsabili e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione, inserisce nuovi requisiti per i docenti dei corsi di formazione (in linea con quanto disciplinato dal D.I. 6 marzo 2013), fa riferimento alla possibilità dell’impiego dell’e-learning per la specifica formazione e sottolinea il riconoscimento della formazione del medico competente e la formazione dei lavoratori somministrati.
Conclusioni
Appare evidente, quindi, la finalità primaria di tutta la normativa che è quella di garantire, sempre e comunque, la massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale concretamente possibile. L’obiettivo è quello di evitare e, comunque, ridurre il numero degli infortuni sul lavoro, individuando e prevedendo i possibili rischi a cui il lavoratore andrebbe incontro nello svolgimento delle proprie mansioni. Tuttavia, il rischio di una disciplina cosi attenta e dettagliata è quello di creare una “sovrabbondanza” di obblighi sostenuti a fatica dai destinatari. Gli adempimenti sono tanti e anche dispendiosi per tante aziende che, alle volte, vivono la prevenzione e, in particolare, la formazione più come una “minaccia” che come una “salvezza”.
Basta immaginare la situazione di una piccola azienda, con pochi dipendenti, che è sottoposta alla stretta e scrupolosa osservanza di tutti gli obblighi prescritti dalla legge e necessari per non incorrere nelle previste sanzioni. Potrebbe risultare particolarmente oneroso, per una piccola azienda, sostenere tutti i costi previsti per la formazione e l’addestramento dei dipendenti, considerando anche l’obbligo di redazione del dvr, che la legge impone anche alla presenza di un solo dipendente. Senza mai escludere, certamente, l’importanza che ha la sicurezza nell’ambiente di lavoro e senza mai dimenticare la priorità che, in ogni caso, bisogna riconoscere alla tutela della salute umana, sarebbe auspicabile trovare alcune soluzioni alternative che riuscirebbero a garantire tutto questo, senza “soffocare”, però, le piccole realtà aziendali che, a fatica, sopravvivono in un periodo non proprio florido dal punto di vista economico. In tema di formazione, per esempio, da parte di qualche esperto del settore, è stato proposto un corso di formazione generale, che abbracci tutti i settori della sicurezza, gestito dagli organi pubblici, come le Asl, che riesca a garantire una sufficiente informazione in materia, ma che possa contenere i costi, alle volte troppo onerosi per le più piccole realtà lavorative.
In breve, bisognerebbe cercare di compensare la necessità e l’importanza di tutelare i dipendenti, nel proprio ambiente di lavoro, con la necessità di rispettare le reali possibilità delle singole realtà in cui prestano il proprio servizio, in modo tale che tutta la normativa, giustamente evolutasi per andare incontro alle più specifiche esigenze di prevenzione, sia applicata da tutti gli interessati come una indispensabile risorsa e non soltanto come un obbligo supportato dalle tanto temute sanzioni.